RODOLFO DI GIAMMARCO SU “PESCI BANANA”
Roma. La Repubblica, 15 gennaio 1981. Pesci banana di Censi: un ex sessantottino in cerca di ideologie.
DI RODOLFO DI GIAMMARCO

Anni fa era la volta di Feiffer, adesso il riferimento è Claire Bretécher.

Il quadro sociofumettistico a cui fa richiamo il teatro di Cristiano Censi ha un logico aggiornamento e la coppietta (erano «Cristiano e Isabella») afflitta un tempo da Midcult intellettualoide, accusa crescenti segni di sbracamento, e s’abbandona alla letteratura di massa. Pesci banana traduce in azione ogni sorta di frustrazione disegnata, o puramente inscritta nelle nuvolette dei «comics», prendendo atto non più soltanto della crisi lui-lei ma ampliando il tiro, coinvolgendo stavolta uno scollato e meditabondo fenomeno che passa al setaccio il comportamento di gruppo.
In scena sono quattro i personaggi fluttuanti, e se la scombinatezza del titolo preso in prestito da Salinger sta a intendere una grottesca fauna è altrettanto facile constatare quanto il testo di Censi arrivi giusto come una fredda serie di bollicine che sciamano frizzanti in un acquario.
Staremmo per dire che lo spettacolo, intelligente quanto rarefatto, offre e insinua un senso d’asfissia molto più prossimo a un silenzio che logora, logora tanto più insistentemente delle battute, sapide, volutamente prevedibili di tutti i personaggi. Più del concetto dibattuto e incrociato di «bambini caconi» e «semiologia della scatologia», diverte ad esempio la distratta e aggrottata maschera di Cristiano Censi. Lui e gli altri piluccano il sesso, la politica, il sistema, la moda, il femminismo, il «gap» elettrodomestico, la morale progressista e un’intera gamma di temi aristocraticamente svaccati consumando ogni singola materia in brevi stacchi, disposti in formazioni miste, che prendono corpo e scompaiono dietro un salotto componibile, morbido, orrido che pensiamo sia ispirato alle finte alghe depositate solitamente nel fondo degli zoo acquatici. Lasciano persino sterili impressioni tutti quei dialoghi sulla coscienza emancipata di cui abbiamo le orecchie già ingolfate, ma indubbiamente qui si pone il maggiore accento sulle fasi psicomotorie, sullo strapazza- mento dell’ex sessantottino bloccato in analisi, irrigidito di perplessità e ritratto fedelmente quindi in pose fisse, in abbioccamenti di scetticismo e d’inedia mentale.
In altri termini i discorsi sono puntualmente «superflui», da chiacchiericcio stanco.
Le donne fanno il conto delle scopate, dei chili che pesano, dei figli che rompono; gli uomini vantano d’essere impacciati, fanno narcisisticamente pessime figure in Tv, si fanno un panino anziché uno spinello. Ma allora? In che può sorprendere o piacere questo spettacolo? Innanzitutto diciamo che l’astrattezza fisica di Censi è aggarbatamente provocatrice e uno per tutti va citato l’episodio dell’inserzione «quarantenne sportivo buona posizione intellettuale di sinistra cerca…» dove c’è tutto lo sfascio di una generazione, quella dei trenta-quarantenni. Riferibilissima è anche la distinzione «industriale» tra sinistra e destra laddove il vasto specifico della sinistra è quello di aver introdotto l’uso di cuscini e moquette al posto della tradizionale, repressiva sedia, con tanto di scontro dialettico a cuscinate. 
Il primo tempo di Pesci banana è composto di tanti pezzi ora buoni ora in bilico, ora già visti e rivisti. Poi nella seconda parte il discorso s’appunta su due coppie d’amici in cerca d’evasione tra casa, ristorante, cinema, bar.
 E qui non c’è litigio, comunella, avventura o fantasia che conti: sono quattro personaggi in fuga dall’autore, veri come ne esistono, davvero possibilmente risibili anche se non comicissimi.
Ricordiamo Isabella Del Bianco, ben fissamente snob, Toni Garrani burbero complessato «a monte», Alida Cappellini donna Vogue e problematica. Peccato che le scene e i costumi di Giovanni Licheri richiamino troppo il design di certe vetrine. Ironico ma senza sprechi lo sciabadabadà musicale di Piero Umiliani.
Rodolfo Di Giammarco.
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